Bonaventura Tecchi

 

narratore e critico italiano (Bagnoregio, Viterbo, 1896 - Roma 1968) compì gli studi classici a Viterbo e quelli universitari a Roma, nella Facoltà di Lettere, dove ebbe maestri C. De Lollis e G. Salvadori.

Partecipò volontario alla guerra 1915-1918, fu ferito e, per molti mesi, prigioniero nel Lager di Celle, presso Hannover. Qui venne a contatto con quella letteratura tedesca che da allora doveva rimanere al centro dei suoi interessi di studioso e di scrittore e della quale sarà poi autorevole specialista con un significativo itinerario di interessi che lo porterà da Carossa a Mann a Goethe.

Nel dopoguerra, laureatosi, visse qualche tempo a Berlino (1922-23) e in Svizzera (1924); fu quindi a Firenze (1925-31), direttore del Gabinetto Vieusseux e vicino al gruppo di «SOLARIA», poi di nuovo all'estero, professore nei Centri di cultura italiana a Brno e Bratislava (1933-37) e infine, dal 1939, docente di Letteratura tedesca nelle Università di Padova e di Roma.

Accademico dei Lincei, «Premio Bagutta d'Argento», «Premio Bancarella», ha diretto l'Istituto di Studi Germanici di Roma ed ha collaborato a quotidiani e riviste in Italia ed all'Estero.

I suoi studi critici vanno dalle monografie di Wackenroder (1927) e Carossa (1947) alla panoramica Scrittori tedeschi del Novecento (1941) al Teatro tedesco dell'età romantica (1957) all'analisi goethiana Sette liriche di Goethe (1949) e alla traduzione degli Scritti di poesia e di estetica di Wackenroder (1934). Dall'esperienza all'estero sono nate le prose Idilli moravi (1939). Il narratore è stato tra i più attivi fra le due guerre con racconti (Il nome sulla sabbia, 1924; Il vento tra le case, 1928; La signora Ernestina, 1936) e romanzi (I Villatauri, 1935; Giovani amici, 1940): ma è nel dopoguerra della seconda guerra mondiale che ha ottenuto il maggiore successo con Valentina Velier (1950) e soprattutto Gli egoisti (1959), rimanendo sempre fedele alla propria vocazione psicologica e allo studio dei conflitti interiori che trovano di volta in volta la loro soluzione nell'azione, nell'idillio, nell'evasione, nella nostalgia, spesso però con la venatura di un'amara ironia.

Nel rendiconto della storia, o in quello, meglio, della fortuna critica pei nostri giorni, le qualità native e le disposizioni psicologiche e intellettuali di Tecchi sembrano sostanzialmente estranee alla misura del romanzo (difficoltà di costruzione e di lungo respiro, tipicità dei personaggi, volontà di tesi prestabilite, ecc.). Più consentaneo l'idillio (da intendersi secondo una precisa etimologia come piccolo quadro), il penetrante ritratto psicologico, la limpida visione di paesi e figure (felici soprattutto, per intima finezza di analisi, quelle di donne e di adolescenti), l'affettuosa indagine della vita della natura (Storie di bestie, Storie di alberi e di fiori). Su questo terreno anche la scrittura tecchiana rivela le sue migliori qualità facendosi libera, intensa, nervosa e sfuggendo a quell'eccesso di metodo e sostenuto decoro che è il suo più frequente pericolo.

Nel viterbese è stato Deputato provinciale e, anche senza incarichi ufficiali, ha collaborato per la soluzione di molti problemi amministrativi in settori diversi della vita comunitaria di Bagnoregio e dell'intera Tuscia.